La testimonianza di un’ostetrica, impegnata quotidianamente in uno degli ospedali della nostra regione, tra misure restrittive e la vita che travolge l’emergenza.

Non c’è virus che tenga. I bambini continuano a venire al mondo.

C’è Rose, con le doglie. Il marito fuori insieme alla figlia maggiore: non avevano nessuno a cui poterla lasciare. Rose è sola, non parla italiano. E in preda ai dolori canta una preghiera a Dio. Si abbassa la mascherina per respirare meglio ad ogni contrazione. No, per carità, la mascherina su. Le sorrido. Anche io ne indosso una. Mi si vedono solo gli occhi. Chissà se riesce a capire dal mio sguardo che sono li per lei. Che anche coperta da uno scafandro non sono lontana, ma vicina. Le doglie sono sempre più forti. Ha bisogno di un appiglio. Le allungo la mano. L’afferra. E stringe forte.

C’è Lume: le accoccolo tra i seni il suo cucciolo appena venuto al mondo. Lo asciughiamo e lo ammiriamo. Poi senza che me ne accorga mi stringe con un braccio a sé ringraziandomi. Il mio cuore scoppia. Non si dovrebbe fare. Distanza di un metro. E Francesca: cesareo programmato. Il marito ha avuto la febbre 10 giorni fa. Nessuno è potuto entrare per lei. La sua bimba ha conosciuto il papà attraverso una videochiamata. Si attacca al campanello. È completamente sola per la prima volta in vita sua con una figlia appena nata tra le braccia. La coccoliamo per quel che si può. Con gli occhi. Non ci restano che quelli.

E Stefania che mostra il suo bambino via Skype a tutta la famiglia e “Aspetta, vieni!” chiedendomi di avvicinarmi “lei è l’ostetrica che ha preso tra le mani Filippo!”. Mi presenta ai suoi genitori. Saluto con la mano. Ma mi si vedono solo gli occhi.

Il corridoio del reparto è vuoto. Nessun vociare rumoroso, a tratti invadente, di familiari e amici. Quella incontenibile baraonda di gioia che la nascita porta con sé. Non restano che gli occhi, i nostri occhi, che ogni giorno continuano ad assistere alla potenza delle donne, che vegliano sulla magia del venire al mondo, che sorridono, che incoraggiano, che piangono a fine turno, che sostengono e credono che tutto andrà bene. Sono un’ostetrica semplice e ho imparato che, nonostante la guerra, la vita trionfa sempre.

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