Piergiorgio Viti è docente di lettere all’Istituto Comprensivo Enrico Medi di Porto Recanati: “Questa emergenza ci ha messi di fronte a tanti anni di mancati investimenti nella scuola. Docenti, alunni e famiglie si stanno impegnando quotidianamente per portare avanti la didattica, nonostante la totale assenza di coordinamento ministeriale. Nessuna piattaforma, per quanto interattiva potrà mai sostituire lo stare insieme ai propri ragazzi, il parlare, il confrontarsi, l’avere un dialogo”.

“Ci siamo messi in discussione. Con la chiusura delle scuole per l’emergenza coronavirus, quella didattica a distanza che tante volte avevamo sentito solo nominare, è diventata la quotidianità”. – Piergiorgio Viti, docente di Lettere all’istituto Comprensivo Enrico Medi di Porto Recanati (MC), racconta le sue giornate di insegnamento davanti ad uno schermo – Nelle mie classi, 2a e 3a media, facevo complessivamente 18 ore settimanali. Ora le ore si sono ridotte a 6. Ovviamente, se è vero che la tecnologia da una parte ci aiuta, ci sono molti altri fattori che rendono difficile lo svolgimento delle lezioni come a scuola. Tra queste i costi, le disponibilità familiari e le dotazioni tecnologiche”. Quali sono state quindi le criticità maggiori? “Il problema più grande è sicuramente il fatto che non abbiamo delle linee guida ministeriali chiare, né tanto meno una piattaforma comune da poter utilizzare. L’organizzazione della didattica è stata lasciata in mano ai singoli istituti. La scelta della piattaforma, la durata delle ore, le valutazioni. Solo ora stanno arrivando delle prime indicazioni a riguardo. Nel mio istituto abbiamo avuto problemi con il primo provider, per questo abbiamo dovuto cambiare piattaforma. Ovviamente se ci fosse uno spazio tecnologico ministeriale, molti problemi tecnici potrebbero essere superati. Ma che cosa pretendiamo? Sono anni che non si investe nella scuola. E questa emergenza ci ha messi di fronte a tutte le mancanze del sistema. Inoltre molte famiglie hanno il problema delle dotazioni tecnologiche. Soprattutto quelle con più figli. Non tutte hanno la possibilità di garantire loro un dispositivo a testa. Alcuni istituti hanno censito queste famiglie e le hanno dotate di dispositivi in comodato d’uso. Da noi ci stiamo muovendo ora per farlo”.

C’è poi la questione delle valutazioni, non certo paragonabili a quelle in presenza. “Anche su questo il ministero è stato totalmente assente. Sarebbe stato invece molto importante avere delle linee guida da seguire. Ovviamente nella didattica a distanza quando ci troviamo a dover valutare un compito, ci chiediamo se effettivamente l’alunno lo abbia svolto da solo o meno. È difficile. Da quello che è emerso sino ad ora, solo alla fine dell’intero percorso sarà necessario fornire un voto numerico. Nel frattempo si va avanti per giudizi. C’è poi la questione degli esami. Ad oggi non sappiamo ancora se e come verranno svolti. E ovviamente se le mie ore ridotte dovessero essere impiegate per la preparazione agli esami, dovrei ritarare i contenuti delle mie lezioni. Manca completamente una progettualità”. E la partecipazione di alunni e docenti? “Nel mio istituto tutti i ragazzi, nonostante le difficoltà, stanno prendendo parte alle lezioni. E anche quello sarà oggetto di valutazione finale, anche se non mettiamo assenze sul registro. Per quanto riguarda la partecipazione dei docenti invece, siamo partiti con italiano, matematica e inglese, allargando poi alle altre materie. Tutti i colleghi, anche quelli meno giovani e quindi meno avvezzi all’uso delle tecnologie, si sono messi a disposizione. La volontà di portare avanti la didattica nonostante le difficoltà c’è. Certo è che abbiamo dovuto ridefinire il modo di insegnare. Non c’è una cattedra. La nostra autorità è venuta meno. Il rapporto con i nostri alunni è paritario. La spiegazione con domande di comprensione finali non serve a nulla. Dobbiamo piuttosto sollecitare le domande dei nostri alunni che sono oltre lo schermo. Tutte cose che stiamo imparando sul campo. Non siamo formati per questo”.

Com’è cambiato il suo rapporto con le tecnologie? “Ho sempre avuto un po’ paura delle tecnologie. Il timore era quello che potessero sostituire la presenza fisica. Con questa esperienza però ho capito che questo non è possibile. Nessuna piattaforma, per quanto interattiva potrà mai sostituire lo stare insieme ai propri alunni, il parlare, il confrontarsi, l’avere un dialogo. La speranza è che tale consapevolezza accompagni anche i nostri ragazzi, che in questo periodo di reclusione hanno sicuramente fatto un uso massiccio di questi strumenti, non solo per la didattica”. E le famiglie? “Le ringrazio, per la loro disponibilità, per come stanno accompagnando i loro figli in questo percorso. Devono dedicare loro molto tempo in una situazione già molto complessa di smart working e incombenze domestiche. Soprattutto i più piccoli spesso non sono così preparati nell’accensione di una webcam o all’avvio di un programma. Non solo. Le famiglie si stanno facendo carico anche dell’aspetto economico della didattica. Pensiamo alla rete internet che è in carico a loro e a noi docenti, senza alcuna partecipazione di spesa da parte del ministero. La speranza è che finito tutto questo, la scuola torni davvero ad avere il ruolo che merita e che da troppo tempo ha perso”.

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