Qualche giorno fa, la premier neozelandese Jacinda Ardern, in vista di questa Pasqua inevitabilmente “diversa” ha registrato un messaggio rivolto ai bambini del suo Paese, invitandoli a realizzare uova colorate da affiggere alle finestre della propria casa. Impensabile in Italia, dove i bambini, in particolare quelli della fascia d’età materna-elementare, sono stati completamente dimenticati. E non è una questione di passeggiate, cartolerie o scuole chiuse. È una questione di empatia, di capacità di far sentire a questi piccoli cittadini che no, non sono all’ultimo posto della scala delle priorità nella gestione dell’emergenza Covid.

Certe scelte andavano fatte. Le scuole andavano chiuse. L’isolamento sociale era l’unica risorsa a nostra disposizione per poter frenare il contagio. Giustissimo. Da genitori abbiamo preso a quattro mani i nostri piccoli e da un giorno all’altro li abbiamo chiusi in casa. Abbiamo spiegato loro, laddove c’erano le condizioni anagrafiche per poterlo fare, che là fuori un piccolo virus dispettoso li avrebbe temporaneamente tenuti lontani dalla scuola, dalle loro maestre, dagli altri bimbi. Che per qualche giorno non avrebbero potuto riabbracciare i loro nonni, i loro zii, tutte quelle persone che sono da sempre parte della loro normalità. Poi, per ovvie ragioni, sommersi tra l’altro molto spesso da incombenze modalità “smart working”, abbiamo iniziato a mettere loro in mano dispositivi tecnologici che probabilmente, fino a quel momento, avevano visto solo da lontano o avevano utilizzato per gioco, non certo per fare un lavoretto scolastico o per parlare con i propri cari. Dispositivi che inevitabilmente avranno un peso sulla costruzione della loro socialità. Si perché, e forse questo sfugge ai nostri decisionisti, la scuola, i parchi, le biblioteche, i centri di attività sportiva non sono parcheggi. Sono luoghi in cui i nostri figli costruiscono le loro relazioni e di conseguenza la loro identità.

Li stiamo privando di tutto questo perché non si poteva fare altrimenti, perché non c’era alternativa per la loro e per la nostra salute. Ma per questa benedetta fase 2, e mi rivolgo a lei presidente Conte, un’alternativa deve esserci. I bambini italiani non possono essere solo quelli che accompagnano mamma e papà al supermercato quando serve (con rischi enormi per cui, tra l’altro, sarebbe stata molto meglio la concessione di una passeggiata all’aria aperta) o che necessitano di vestiti, giocattoli e materiali da disegno. I bambini italiani sono i cittadini di domani. E stanno pagando un prezzo altissimo per salvaguardare le vite dei più deboli, dei loro nonni. C’è nel suo governo la consapevolezza di questo sacrificio? La sua ministra dell’Istruzione non avrebbe forse dovuto spendere, nelle svariate conferenza stampa a reti unificate, due parole anche su questo? O la scuola è esclusivamente esami, valutazioni, graduatorie, carta straccia? Dove sono finite le misure dedicate a scuole materne ed elementari? Non ci sono? Fateci almeno credere che ci state pensando. Come si può ritenere che per questa fascia di età non vadano previste soluzioni (e non solo didattiche) ad hoc? Possibile che venga tutto lasciato alla professionalità e al buon senso degli insegnanti, nonché alla collaborazione dei genitori?

È inaccettabile. E se l’entità di questa fase iniziale di emergenza può giustificare, ma fino ad un certo punto, quanto accaduto, non sarà così da qui in avanti. Qualcuno dovrà spiegare, con la chiarezza e il linguaggio che i nostri figli meritano, che il ritorno a scuola, se ci sarà e quando ci sarà, sarà un po’ diverso da quello che si aspettano. Qualcuno dovrà pensare a come aiutarli a ricostruire se stessi in una dimensione che sarà completamente diversa da quella del passato. Qualcuno dovrà ricordarsi anche di loro. Lo faremo noi genitori, certo. Ma in questo difficile compito non possiamo essere lasciati soli.

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