Da una parte bambini piccolissimi, che hanno vissuto la quotidianità tra lezioni al pc e videochiamate ai nonni. Dall’altra schiere di adolescenti che da un giorno all’altro hanno dovuto reinventare le loro giornate e la loro socialità, avvalendosi, oggi ancor più di ieri, di strumenti tecnologici. Che cosa accadrà ai nostri figli una volta passata l’emergenza? Quale sarà il loro rapporto con la tecnologia? Lo abbiamo chiesto a Ketti Chiappa, Psicologa Psicoterapeuta e Mediatrice Familiare, Responsabile Area Scuola per l’Associazione Nazionale Dipendenze Tecnologiche, Gap e Cyberbullismo, nonché Consigliere Tesoriere dell’ Ordine degli Psicologi delle Marche.

Dottoressa Chiappa, molti bambini, anche piccolissimi, in questo periodo di isolamento domestico si sono ritrovati per necessità ad utilizzare quotidianamente strumenti di comunicazione come smartphone, tablet o pc. Che tipo di conseguenze potrà avere questo fenomeno per loro sul breve e sul lungo termine?

Non penso che potranno esserci conseguenze negative per i nostri figli più piccoli se noi genitori sapremo dare il buon esempio nei termini di un utilizzo sano delle tecnologie. Ricordiamoci che i cuccioli d’uomo apprendono per imitazione.

Detto ciò, ci tengo a fare una piccola riflessione: questo virus ci ha dato una grande opportunità, ha rallentato la nostra corsa e ci ha permesso di fermarci a riflettere sul nostro modo di vivere. Ma sta anche minando il nostro senso di sicurezza. La paura è un’emozione che ci permette di individuare i pericoli e di trovare gli strumenti adeguati per affrontarli. L’uso delle tecnologie dei nostri figli è bene che “ci faccia paura”. “Demonizzare” le tecnologie però equivale a farsi paralizzare dal panico, perdendo tutte quelle opportunità che gli strumenti tecnologici ci potrebbero fornire. In questo momento di emergenza le tecnologie ci hanno permesso di mantenere delle relazioni con i nostri cari, di usufruire della didattica a distanza e di continuare a lavorare da casa. L’atteggiamento opposto è la “negazione del pericolo” che, ad esempio, un navigatore inesperto può correre affrontando “in solitudine” il mare del mondo online. Il web può essere molto pericoloso se i nostri figli, vengono lasciati a navigare senza un adulto accanto che li accompagna nell’esplorazione. Prima di lasciare la loro mano, valutiamo le loro competenze di navigazione. Le neuroscienze ci dicono che la corteccia prefrontale del nostro cervello, la parte più evoluta, quella che ci differenzia dagli animali, termina il suo sviluppo intorno ai 20 anni di età.

Questa struttura si occupa del controllo degli impulsi, della regolazione delle emozioni e della valutazione delle conseguenze delle proprie azioni. Fino a quel momento il giovane adulto è guidato dall’impulsività piuttosto che dal ragionamento e questo può metterlo in situazioni di pericolo, soprattutto nel web, dove basta un click per compiere un’azione.

Parlando di adolescenti, la tecnologia era qualcosa che caratterizzava già il loro rapporto con la realtà, ancor prima della pandemia. Tuttavia, nel lungo tempo trascorso a casa, smartphone, tablet, pc e videogiochi sono diventati gli unici strumenti capaci di garantire loro il mantenimento di una socialità. All’indomani del lockdown, sapranno riappropriarsi in maniera indolore del contatto umano, già di fatto molto mediato in questa società 4.0?

I nostri figli si adattano al mondo che noi forniamo loro. Non nascono con lo Smartphone in mano, siamo noi genitori a consegnarglielo. I loro bisogni sono altri. I bambini e gli adolescenti hanno bisogno di relazione e sono i primi che in questa emergenza desiderano tornare alla normalità e incontrare lo sguardo dei loro amici o l’abbraccio dei loro fidanzatini. Non penso che avranno alcun problema a tornare alla socialità e al contatto umano. Il problema lo vivono adesso, sono stati privati dell’incontro con l’altro in un’età in cui hanno fame di emozioni.

L’Associazione Nazionale Dipendenze tecnologiche, Gap e Cyberbullismo, per la quale lavoro, in collaborazione con il portale Skuola.net, ha appena concluso un’indagine “Giovani e Quarantena”. Dalle quasi 10.000 interviste fatte a ragazzi dagli 11 ai 21 anni è emerso che il fattore di disagio maggiore in questo momento, è l’ansia per l’incertezza del futuro. Lo studio ha rilevato un significativo aumento dei sintomi ansiosi, disturbi del sonno e disordini alimentari. La tecnologia non riesce a colmare la solitudine e a contenere le ansie. Abbiamo tutti bisogno di tornare al contatto umano, adolescenti compresi.

I dati dell’indagine “Giovani e Quarantena”

Che consigli si sente di dare ai genitori delle diverse fasce di età nella gestione dei rapporti tra i loro figli e le tecnologie? In che modo è possibile prevenire l’insorgere di una dipendenza?

Da mamma e da psicoterapeuta mi sento di invitare tutti i genitori ad unirsi per combattere un virus potentissimo: quello dell’utilizzo disfunzionale delle tecnologie. Le tecnologie possono diventare oggetto di dipendenza, di isolamento sociale, possono essere uno strumento attraverso cui far del male all’altro e attraverso cui qualcuno può adescare o aggredire i nostri figli. Non è lo strumento tecnologico il problema ma l’uso che ne viene fatto. Dobbiamo creare una rete di protezione per le nuove generazioni e noi adulti (genitori, insegnanti, educatori, sacerdoti…) abbiamo la responsabilità di diventare una squadra di anticorpi efficaci. È importante che ci informiamo sui possibili rischi che i nostri figli incontrano nel mondo virtuale, ma è fondamentale anche che utilizziamo la tecnologia come strumento di relazione con i nostri figli, un punto di contatto e di incontro in cui possiamo conoscerli, comprenderli e far sentire la nostra presenza affettiva.Approcciamoci a loro e al loro mondo con curiosità e senza giudizio, in modo da poter creare un rapporto di dialogo e fiducia, che permetterà loro di chiederci aiuto nel momento del bisogno. Alleniamoli alla frustrazione, all’attesa ed ai no: la modalità del tutto e subito è pericolosa ed è uno dei meccanismi alla base della dipendenza.

Il nostro suggerimento è di evitare di dare lo Smartphone prima dei 13 anni; e quando lo si consegna va fatto includendo regole e le istruzioni per l’uso. Dobbiamo monitorare l’uso che ne fanno i nostri figli, intervenendo se escono dalle regole concordate. È normale che un bambino a 10 anni desideri uno smartphone ed è sano che un genitore sappia dirgli di no spiegandogliene il motivo e tollerando la rabbia e il dolore del figlio per questa frustrazione. È importante che la famiglia abbia delle regole condivise sull’utilizzo delle tecnologie: può essere una buona idea fare un accordo familiare che tutti devono rispettare. Non possiamo chiedere ai nostri figli di rispettare delle regole che noi siamo i primi a trasgredire. Se vogliamo essere degli adulti efficaci ed autorevoli è fondamentale che siamo coerenti. Quindi se chiediamo ai nostri figli di non utilizzare il cellulare a tavola, siamo noi i primi a non doverlo usare. Suggeriamo dei momenti di Detox Tecnologici familiari in cui proponiamo delle attività piacevoli da fare tutti insieme.

L’ultima indicazione: prestiamo attenzione ai campanelli di allarme. Se i nostri figli hanno un’alterazione dell’umore, del ritmo sonno-veglia, perdono il controllo e reagiscono aggressivamente, hanno un calo del rendimento scolastico, tendono sempre più ad evitare occasioni sociali, manifestano sintomi ansiosi, chiediamoci e chiediamo loro cosa sta succedendo. E se un rapporto problematico con le tecnologie possa avere un qualche ruolo in questa situazione. 

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