Flavia Farina, insegnante in una scuola primaria della provincia di Pesaro e Urbino, è La maestra con gli occhiali rossi: lo scorso maggio, dalla sua pagina Facebook, aveva rivolto una lettera alla ministra dell’Istruzione Azzolina riflettendo sugli effetti della didattica a distanza e chiedendo un ultimo giorno di scuola per gli alunni di fine ciclo. Ecco le sue considerazioni sulla scuola che verrà a settembre.

Rispetto alle linee guida elaborate dal ministero, che sembrano in via di ridefinizione, due sono le cose che mi sono saltate subito all’occhio: 1) l’idea di dover dividere i bambini e ragazzi in gruppi di apprendimento; 2) la totale assenza di attenzione per quanto riguarda un supporto psicologico a bambini, docenti, genitori. 

Il primo punto mi è saltato come una mosca al naso, non tanto per la divisione in gruppi degli studenti, cosa che già si sta sperimentando nei centri estivi, ma di quell’appendice “di apprendimento”. Mi ha fatto pensare a scuole differenziali dove vengono riuniti i bambini con difficoltà da una parte e i piccoli geni dall’altra; in un gruppo anonimo, le fasce medie. Perché, temo, così sarà. Se l’obiettivo poi è soprattutto recuperare degli apprendimenti (per la maggior parte degli insegnanti, più che apprendimenti, conoscenze), la frittata è preparata. Il risultato non può che essere allargare una forbice che per molti è già diventata una voragine durante la didattica a distanza. A questo aggiungo anche il fatto che, al posto di ragionare su classi meno numerose e quindi investire sul pronto inserimento di nuovi insegnanti, si è pensato a spezzettare il gruppo classe e con esso gli equilibri e le relazioni in continuo cambiamento.


Il secondo punto invece, purtroppo, me l’aspettavo. Credo che la sfida più grande, non solo per i bambini, sia riprendere una quotidianità che abbiamo già dimenticato e, vista la veloce adattabilità dei più piccoli, potrebbe diventare addirittura questa la normalità, con adulti mascherati e emozioni nascoste, con distanze obbligate e contatti evitati. È chiaro che tutto questo sia necessario per la nostra salute, ma se noi adulti lo possiamo capire (e comunque ne risentiamo, anche inconsciamente), un bambino ne soffrirà a livello più profondo e, se non vogliamo avere una generazione di asettici e apatici, dovremmo cominciare ad interrogarci anche su questi risvolti e come prevenirli.

Credo che, ancora una volta, ci si sia soffermati sulla pagliuzza per non guardare la trave. Al posto di vedere questa situazione difficile come una catastrofe scolastica, prenderei la palla al balzo per riformare il sistema dal suo cuore, sperimentando nuove modalità di insegnamento (all’aperto, con esperienza diretta sul territorio, interdisciplinari…), alleggerendo i docenti e i dirigenti da responsabilità più grandi di loro e collaborando attivamente con territorio e  genitori (non solo per gli spazi fisici) in una rete sociale che sostenga i bambini e ragazzi e di conseguenza il nostro futuro.

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