Costantino Gobbi, tesoriere della FIMP (Federazione Italiana Medici Pediatri), sindacato di categoria, e pediatra di famiglia a Macerata, spiega le priorità in vista della riapertura delle scuole: “Per evitare che il sistema collassi, in particolare in vista dell’influenza invernale, abbiamo bisogno di risposte rapide”. Previsto un tavolo con la Regione sul tema.

Mancano meno di 30 giorni alla prima campanella e le incertezze legate alla gestione Covid sono ancora tante. Come tanti sono i soggetti coinvolti nel controllo dell’emergenza. Tra questi certamente i pediatri di famiglia, chiamati a vigilare sullo stato di salute dei piccoli pazienti per aiutare, laddove le condizioni lo consentono, la scuola a proseguire il suo percorso “in presenza”. Quali sono ad oggi le maggiori criticità sul nostro territorio e come dovranno comportarsi le famiglie da qui ai prossimi mesi? Lo abbiamo chiesto a Costantino Gobbi, tesoriere della FIMP (Federazione Italiana Medici Pediatri) e pediatra di famiglia a Macerata.
Dottor Gobbi, quale scenario si prospetta nel prossimo autunno in campo pediatrico?
Purtroppo, nessuno sa cosa potrà accadere. Il Covid ci ha colti di sorpresa in tutti i sensi. Pensavamo che non sarebbe arrivato nel nostro continente, come accaduto per altre infezioni, e invece così non è stato. Ci sono stati morti. E lo scenario che abbiamo davanti è incerto. Per questo è più che mai necessario essere prudenti. Non sappiamo come evolverà: se sarà più benigno, a conclusione dell’estate, o se tornerà più aggressivo. Questa incertezza riguarda anche i bambini. Non sappiamo ancora bene con che facilità contraggano la malattia. Quello che abbiamo potuto osservare, sulla base dei dati relativi all’indagine sierologica, a cui purtroppo pochi italiani hanno aderito, è che i più piccoli si ammalano di meno rispetto agli adulti. Ma non sappiamo se un bambino malato di Covid trasmette la malattia in maniera maggiore, minore o uguale. Per tutti questi motivi servirà davvero tanta prudenza. Come sindacato siamo, giorno per giorno, in costante osservazione delle evoluzioni scientifiche sul tema.
I bambini, soprattutto quelli appartenenti alla fascia d’età 0-6 anni, nei periodi più freddi presentano facilmente sintomi da infezione respiratoria. Come dovranno comportarsi i genitori? Ci sono dei protocolli da seguire anche nell’ottica di un successivo reinserimento a scuola?
Partiamo dal presupposto che non è possibile distinguere il Covid da una classica malattia febbrile diffusa nei periodi invernali. A meno che, ovviamente, non ci sia un sintomo molto particolare. Quello che abbiamo previsto è un primo triage telefonico con il proprio pediatra di famiglia, che ci consenta di distinguere coloro che con buona probabilità non hanno il Covid da quelli che invece potrebbero averlo contratto. Per quanto riguarda la riammissione a scuola, ovviamente, coloro che si occupano della sicurezza scolastica pretendono che il Covid non entri nelle aule, a tutela degli altri alunni e del loro personale. Dunque, per riammettere il bambino a scuola serve un tampone negativo. Su questo punto in particolare, stiamo lavorando con la Regione, perché esistono delle criticità evidenti: in primo luogo i tempi. Abbiamo bisogno di risposte rapide, perché se un bambino presenta a scuola sintomi di febbre o tosse, viene rimandato a casa per sospetto Covid e fa il tampone, non possiamo chiudere una classe, con alunni e insegnanti, nell’attesa di un risultato che potrebbe arrivare anche dopo sette giorni. Il tampone deve essere effettuato e analizzato entro le 24 ore successive alla prescrizione del pediatra. O il sistema collassa e saremo di fronte ad uno pseudo dramma annunciato. Altra questione è il costo dell’esame che, ad oggi, nelle Marche, è di 60 euro, se non giustificato da motivazioni cogenti. Nei prossimi giorni è previsto un tavolo di confronto con la Regione per discutere proprio di questi temi.
E la vaccinazione antinfluenzale?
Siamo tutti d’accordo sul fatto che la vaccinazione antinfluenzale non è la cura al Covid. Ma dobbiamo tenere presente le decine e decine di bambini che ogni anno, in condizioni normali, si ammalano di influenza. Se arriva il picco e come pediatri ci troviamo costretti a trattare tutti questi casi come possibili Covid, va in crisi l’intero sistema e le scuole rischiano di chiudere nuovamente per settimane. Riuscire a vaccinare la maggior parte dei bambini significa avere una influenza più soft. Non tutti ne usciranno indenni, considerato che il vaccino antinfluenzale garantisce una copertura al 70%, perché costruito sulla base di come potrebbe evolvere un virus che annualmente cambia; ma molti non la prenderanno o la prenderanno con sintomi più leggeri. Come pediatri ci siamo resi disponibili ad effettuare le vaccinazioni nei nostri ambulatori. Questo considerato anche che i bambini sotto i 9 anni, che non si sono mai sottoposti a vaccinazione antinfluenzale prima, devono fare due richiami a distanza di 4 settimane, con un sovraccarico di lavoro notevole per gli ambulatori vaccinali, che dovranno anche recuperare tutti i richiami persi nei mesi scorsi a causa del Covid. È il sistema nel suo complesso che deve ridefinirsi, per gestire al meglio il periodo invernale che verrà.
Veronica Fermani