Costantino Gobbi, tesoriere della FIMP (Federazione Italiana Medici Pediatri) e pediatra di famiglia a Macerata, a poche ore dalla riapertura delle scuole, spiega quali sono le regole per la gestione della salute dei più piccoli e perché, già nei prossimi giorni, qualcosa potrebbe cambiare.

La prima campanella si avvicina e se, da una parte, ai genitori viene chiesta attenzione e responsabilità rispetto allo stato di salute dei propri figli, dall’altra sono i pediatri a dover indicare alle famiglie la strada da seguire in caso di sintomi sospetti. Ma quali sono questi sintomi? E se, ad esempio, ci troviamo di fronte ad un “semplice” raffreddore, come dobbiamo comportarci? Ce lo ha spiegato Costantino Gobbi, tesoriere della FIMP (Federazione Italiana Medici Pediatri) e pediatra di famiglia a Macerata: “Secondo le linee guida che sono state elaborate nelle scorse settimane durante il tavolo di confronto tra Istituto Superiore di Sanità, ministero della Salute, ministero dell’Istruzione e INAIL, i sintomi che nei bambini sarebbero riconducibili al Covid sono temperatura superiore a 37.5, raffreddore/naso chiuso, nausea/vomito, diarrea, dolori addominali, mal di gola, mal di testa e dolori muscolari. Stando alle indicazioni del documento, in presenza di uno solo di questi segnali, potremmo trovarci di fronte ad un sospetto Covid e dunque, come pediatri, siamo chiamati alla prescrizione del tampone. Prescrizione che risulta indispensabile per il rilascio del certificato finalizzato alla riammissione a scuola oltre i 3 giorni di assenza del bambino. In questo modo, lo scenario che si prospetta è quello di  un numero elevato di tamponi, che potrebbero essere ripetuti anche più volte sullo stesso bambino”.  La scarsa conoscenza del comportamento del virus nei bambini non aiuta la prevenzione: “L’indagine sierologica svolta in collaborazione con la Croce Rossa Italiana, seppur realizzata su un campione piuttosto esiguo, ha messo in evidenziato come, in realtà, i bambini si ammalino di meno, ma si ammalino. Dunque, vanno anch’essi testati, come il resto della popolazione. Studi più specifici hanno messo in luce come non esista alcuna associazione tra sintomi, che aumenti la possibilità per un bambino di essere affetto da Covid piuttosto che non da un’altra malattia. Non sappiamo se la trasmettono e in che misura. E non sappiamo se il virus contratto da un bambino ha la stesse caratteristiche di quello contratto da un adulto. I dubbi sono tanti. La certezza è che bloccare la pandemia è cosa molto diversa dal curare i bambini”.

La possibilità di revisione delle linee guida attuali, certamente impegnative per i pediatri, per le famiglie e per il sistema, chiamato a gestire un’ingente richiesta di tamponi, potrebbe arrivare nelle prossime ore. Il punto di partenza è la proposta, presentata dagli igienisti e portata all’attenzione dei referenti ministeriali, di fare riferimento, anche per i bambini, alla definizione di sospetto Covid data dall’Organizzazione Mondiale della Sanità: “L’OMS dichiara che un soggetto potrebbe essere affetto da Coronavirus in presenza di almeno tre dei sintomi descritti nelle nostre linee guida. Se questa definizione venisse applicata ai bambini, si ridurrebbe il numero di pazienti che andrebbe sottoposto a tampone, perdendo però inevitabilmente qualche caso di positività che potrebbe avere sintomi più blandi. Possiamo farlo? È questa una strada alternativa valida? O dobbiamo essere più “severi”? Gli esperti devono darci delle risposte. Il Comitato Tecnico Scientifico dovrebbe riunirsi sul tema già il prossimo martedì. Nel frattempo sappiamo che sono in fase di sperimentazioni i test salivari, che ci aiuterebbero ad arginare buona parte dei problemi legati ai tamponi, certamente più invasivi e impegnativi da trattare. Ad oggi l’attendibilità di questi test si aggira intorno all’85%. Possiamo migliorare ”.

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