Federica Guercio,  consigliera segretario dell’Ordine degli psicologi delle Marche, per cui è referente della psicologia scolastica, ed esperta in adolescenza e disagi dello sviluppo, commenta la richiesta che le Regioni stanno muovendo al Governo nazionale, per il ripristino della didattica a distanza negli istituti superiori: “La scuola è molto di più dell’apprendimento, è palestra di relazione”.

Dottoressa Guercio, che cosa comporterebbe oggi per i nostri ragazzi una nuova chiusura delle scuole e il ritorno alla didattica on line?

Scegliere di ripristinare la didattica a distanza negli istituti superiori significa chiedere ai nostri adolescenti di rinunciare ad un loro bisogno evolutivo: quello della socializzazione. È vero, i ragazzi maneggiano bene la tecnologia, la conoscono e sanno apprezzarne qualità e limiti. Ma dietro a quegli schermi può celarsi tanta solitudine che, seppure passino le emozioni, non riesce ad essere colta. Mancano spazio e tempo per approfondirle, intercettare il disagio o semplicemente sostare nella gioia. Non c’è spazio per quel mondo parallelo alla formazione che aiuta a diventare grandi: la scuola è molto di più dell’apprendimento, è “palestra di relazione”. Non inizia in classe, comincia con un messaggio su un gruppo social, parte dalla fermata dell’autobus e lì ritorna, si consuma nell’atrio, durante la ricreazione, nel rapporto con i bidelli, nelle battute con il professore che non è della tua classe, nello scambio di sguardi con i compagni dell’ultimo anno, e molto che non sappiamo. Tutto questo viene meno. È vero, la didattica c’è, l’apprendimento viene garantito, ma la scuola ha come compito quello di formare gli individui e aiutarli a diventare persone, possibilmente guardandoli in faccia.

Esistono strumenti che possono aiutarci a fronteggiare al meglio questa situazione?

In qualità di adulti e chiamati ad essere comunità educante, nel momento in cui, per ragioni di contagio, non è più possibile mantenere aperti gli istituti, dobbiamo essere consapevoli del fatto che stiamo privando i nostri ragazzi di qualcosa di importante. E dobbiamo assolutamente dare loro qualcosa in cambio: rendiamoli attori protagonisti della gestione sanitaria. Diamo loro momenti di gruppo e condivisione a distanza in cui affrontare sui temi dell’educazione e della salute. Coinvolgiamo docenti, esperti. Concentriamoci sulla salute psicologica, sulla comunicazione in epoca Covid, ma andiamo a toccare anche argomenti come la prevenzione dei comportamenti a rischio, dalle malattie sessualmente trasmissibili, all’utilizzo di sostanze, alle relazioni attraverso i social. Tutti temi che la didattica a distanza ha inevitabilmente penalizzato, ma che sono importantissimi. Portiamoli avanti nella logica dell’alternanza scuola-lavoro, con l’assegnazione di crediti. Diamo spazi virtuali in cui condividere la loro visione di futuro e soprattutto chiediamogli, ad uno ad uno, qual è il tuo sogno?

Proprio i giovanissimi sono spesso stati accusati di atteggiamenti superficiali in relazione alla pandemia…

Alla loro età la percezione del rischio è minata da un grande senso di potenza e invulnerabilità che è importante, perché li aiuta in quel processo di svincolo dalla famiglia e costruzione della identità. Questo, unito al fatto che il contagio li tocchi relativamente, poiché si ammalano di meno, e ad una comunicazione ambivalente a cui sono stati sottoposti, contribuisce spesso alla loro “disobbedienza”. Ecco perché diventa fondamentale coinvolgerli, far sentire loro che stanno facendo qualcosa di importante”.

In generale, questa situazioni potrà avere delle conseguenze sul processo di crescita dei nostri adolescenti?

Non sappiamo che cosa porterà questa modalità di socializzazione digitale a lungo termine. Sappiamo però che c’è tanta resilienza e forse dovremo riscrivere la pragmatica della comunicazione umana.

Tutto questo in condizioni di “normalità”. Come andrebbero fronteggiati invece i casi di disabilità o di situazioni familiari difficili?

In questi casi ci vorrebbero dei servizi di prossimità efficienti. Grazie alla tecnologia, e alla pandemia, la cura e il supporto, vedono modificato il “setting”, il contesto in cui si opera. L’home visiting è uno strumento che, all’occorrenza, va utilizzato: far entrare in sicurezza un educatore in casa può aiutare le famiglie che vivono situazioni complicate. Fondamentale è inoltre avere attivo un servizio di psicologia scolastica presso gli istituti, che lavori in sinergia con le istituzioni del territorio, capace di operare on line e attivare interventi di prossimità, seguendo la mutevolezza e complessità dei bisogni degli alunni, arginando le discriminazioni che potrebbero verificarsi.

Veronica Fermani

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