Tecnologia e ragazzi, un tema che ci riguarda tutti. Come affrontarlo, soprattutto se non si è genitori molto smart? Lo abbiamo chiesto al dottor Giuseppe Lavenia, psicoterapeuta specializzato nel rapporto dei ragazzi con le nuove tecnologie e nelle dipendenze tecnologiche. Oltre alla professione di terapeuta, Lavenia ricopre il ruolo di presidente dell’associazione nazionale Di. Te. (Dipendenze Tecnologiche, GAP e Cyberbullismo), docente universitario ed è autore di Voglio il cellulare!, Mio figlio non riesce a stare senza smartphone e Le dipendenze tecnologiche

Dottor Lavenia, è giusto regalare il cellulare ai propri figli? Quando possiamo farlo?

Da genitori, è naturale farsi queste domande. Credo che sia anacronistico non regalare un cellulare ai propri figli o non permettere loro di usarlo. Non parlerei tanto di una scelta giusta o sbagliata, ma di una adeguata o meno.  E l’ago della bilancia sta nella loro maturità cognitiva: conoscono i pericoli che possono esserci in rete? Come hanno dimostrato a noi genitori di gestire situazioni complesse? Si sono dimostrati responsabili di fronte alle loro scelte o no? Queste sono alcune riflessioni che dovremmo fare, prima di decidere se regalare un cellulare o meno ai nostri figli. Nel mio libro “Voglio il cellulare!”, per esempio, ci sono anche alcuni test per genitori e figli, per valutare le nostre conoscenze di tutto ciò che passa in rete e per valutare le capacità dei nostri ragazzi. In genere, però, l’età in cui dare un cellulare in mano ai figli, da gestire in autonomia, è intorno ai 13 anni. Sottolineo, però, ancora una volta, che questa è un’indicazione di massima, non è una linea di confine. Molto sta nella maturità cognitiva dei nostri ragazzi.

Come possiamo noi genitori gestire il tempo di utilizzo del cellulare e controllarne i contenuti?

Ci sono diversi strumenti, come il parental control, delle app e tanto altro. Oggi, sul web si trova davvero di tutto. Ma il tema non è questo: bisogna stabilire un patto di fiducia tra noi e i nostri ragazzi. Possiamo anche metterlo per iscritto, dove sia gli adulti sia i ragazzi si impegnano a rispettare gli accordi reciproci. Dobbiamo avere accesso alle loro password, discutere con loro delle cose che hanno visto in rete. Interessarci, in poche parole, alla loro vita online. Come facciamo con quanto accade a scuola, con gli amici e in famiglia.

Tra i giovani sta prendendo sempre più piede il cyberbullismo. Ci può spiegare praticamente in cosa consiste e quali forme può assumere? Anche quelle meno palesi, che sono probabilmente le più insidiose.

Il cyberbullismo è il bullismo online, cioè l’insieme di comportamenti aggressivi, protratti nel tempo e intenzionati a umiliare, ferire, escludere da un gruppo una persona attraverso l’uso dei nuovi strumenti di comunicazione (smartphone, e-mail, social network). L’invio di messaggi offensivi tramite chat, sms, foto, video, e-mail, social e servizi di messaggistica istantanea, che vengono poi condivisi e fatti girare in modo incontrollato, ha come obiettivo quello di insultare pubblicamente i ragazzi vittime di cyberbullismo, di ridicolizzarli, di isolarli dalle conversazioni e costringerli a tacere, umiliandoli. Questa forma di bullismo digitale incide su vari aspetti della vita quotidiana dei nostri ragazzi ed è un fenomeno in crescita tra gli adolescenti, nonostante come adulti facciamo fatica a riconoscerlo e chi ne è vittima fatichi a parlarne.

Cosa possiamo fare noi genitori contro il cyberbullismo?

Prima di tutto, non minimizziamo quando i ragazzi ci racconto di episodi che li hanno fatti stare male. Non rispondiamo con frasi: “Ma cosa vuoi che sia?”, o “Ma tu dai retta a queste cose?”. Cerchiamo di chiedere, invece, che emozioni stanno provando in quel momento e ascoltiamo tutto, anche ciò che da adulti forse fatichiamo a comprendere in quel momento. Aiutiamoli a gestire questi momenti, con empatia e rimanendo loro vicini. Denunciamo alle autorità competenti, non lasciamo correre.

Cosa ci può dire delle dipendenze tecnologiche e come possiamo combatterle?

Le dipendenze tecnologiche hanno facce diverse. C’è la nomofobia, la paura di rimanere senza cellulare, il vamping, l’abitudine a chattare di notte, tanto per fare alcuni esempi. Si diventa dipendenti quando non si riesce a stare senza le nuove tecnologie. La situazione, dal punto di vista biochimico, è paragonabile a una dipendenza da sostanze, perché il meccanismo di ricompensa che si attiva è lo stesso. Come possiamo contrastare questo fenomeno? Beh, prima di tutto se ci rendiamo conto che c’è un ipercoinvolgimento con le nuove tecnologie, non sottovalutiamo il fatto. Magari chiediamo consiglio a un esperto, prima che diventi altro. Altro punto: non tentiamo di privare i ragazzi di smartphone e altri device. Si otterrebbe l’effetto contrario. Se c’è una dipendenza, va valutata da esperti, va seguita. Il genitore può collaborare alla presa in carico di questa situazione e può lavorare sulla prevenzione, cercando di programmare giornate di tecnodetox: la domenica, per esempio, potrebbe essere un giorno cellular free, dove anziché stare ricurvi sullo schermo, si programmano tutti insieme passeggiate nella natura, tornando a raccontarsi come si sta, cosa si prova nel vedere i colori che si hanno intorno, si chiede agli altri cosa sentono… Si torna, insomma, a sentire.

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