di Maria Sofia Proserpio

“É strano. Non raccontate mai niente a nessuno. Se lo fate, poi comincia a mancarvi chiunque.” Il giovane Holden -J. D. Salinger

Non so esattamente come succeda, ma c’è un giorno, un momento nell’ultimo mese dell’ultimo anno di liceo, in cui ti rendi conto che quello è l’ultimo mese dell’ultimo anno: stai schivando le buche nel piazzale della scuola o riattaccando la copertina del dizionario caduto di nuovo dalla scrivania e ti ritrovi a pensare che quei gesti ora banali e ripetitivi, presto ti mancheranno.

È un tempo strano, sospeso, in cui la consapevolezza che tra poche settimane i dubbi, la rabbia, gli scherzi degli ultimi cinque anni apparterranno al passato ti toglie per un attimo il respiro. È difficile pensare che gli amici di adesso saranno “I compagni di liceo”, quelli di cui ti parlano i tuoi indicando una vecchia foto, e che l’ultimo giorno di scuola di quest’anno invece di lanciarti fuori dai cancelli e rincorrere una corriera per il mare, camminerai piano e ti attarderai per i saluti.

È un mese scintillante, irrequieto, in cui vedi intorno a te i compagni di classe fare scelte importanti, progettare, arrivare a scuola con giganteschi volumi di Alpha test. Non sai come, ma hai memorizzato i piani di vita di tutti quelli del tuo anno, rispondendo prontamente “Ti ci vedo proprio, sai?” ad ogni università, mestiere, anno sabbatico. Con gli amici, i discorsi si fanno più seri e tra un elenco di appartamenti in affitto e le discussioni su irraggiungibili borse di studio, inizi a sentirti davvero “maturo”, prima di pensare che per diplomarsi sentirsi maturo non basta e che forse dovresti metterti seriamente a studiare.

Antonello Venditti diventa inspiegabilmente il tuo migliore amico, l’unico che sembra aver davvero capito il motivo per cui la maturità fa così paura: non è la seconda prova e non sono i cinquecento anni di storia dell’arte da portare all’orale, o almeno non solo. È il fatto di sapere che quella è la notte, la settimana, il mese prima degli esami. Quando i rapporti si sfilacciano e qualche parola rimane in sospeso è più facile non rendersi conto che un capitolo si sta chiudendo, ma se tutte le tue forze sono concentrate su quel taglio netto non puoi evitare di guardare costantemente avanti e indietro, come quando per uscire da casa devi cogliere l’attimo perfetto in cui non arrivano macchine da sinistra e quelle da destra sono lontane abbastanza. Guardi avanti ai giorni che restano e indietro a quelli che se ne vanno, alternativamente, finché non ti gira un po’ la testa e non puoi fare altro che maledire chi ha deciso che sul modo in cui darai addio alle superiori debba essere messo un voto.

Sono così i giorni che precedono la maturità, istanti dilatati, pieni di passato e di futuro, in cui tutto sembra sfuggirti di mano ma in cui al contempo sei convinto di avere il mondo ai tuoi piedi. I professori che diventano confidenti, i genitori che ti guardano con gli occhi di chi ci è passato, tu che ti guardi con gli occhi confusi di chi non sa che cosa sta per accadere e vorrebbe poter saltare qualche pagina, vedere come va a finire. Le serate passate a cucinare pasta e a ridere con gli amici restano quelle di sempre, un punto fermo dopo estenuanti pomeriggi di schemi a cascata e riassunti e disegni ai margini dei fogli, quando vorresti solo alzarti e andartene. Non ne puoi più, non vedi l’ora, hai paura, hai voglia di tutto e di niente. Sai che giorni come questi non li vivrai mai più, e vuoi portarli con te nitidi, lucidi come li vedi ora. Sai anche di essere un po’ troppo nostalgico ma questi sono i tuoi giorni, e non ti importa più di tanto.

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